L'INTELLIGENZA EMOTIVA E I BAMBINI, un articolo per riflettere sulle emozioni dei nostri figli

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Sherry76
view post Posted on 28/10/2007, 16:35




INTELLIGENTI, CON UNA MARCIA IN PIU'

Riconoscere le emozioni del bambino e trasmettergli le proprie lo aiuta a crescere.

Un bambino dal seggiolone vede i biscotti che tanto gli piacciono, li riconosce (intelligenza cognitiva, sul conoscere), si illumina, vuole prenderli, ma si accorge che sono troppo lontani. Si agita e cerca di allungarsi per raggiungerli (intelligenza pragmatica, sull’agire), emettendo gridolini che esprimono il desiderio. La mamma se ne accorge, e gli dice: «Ti piacciono, eh, i biscotti! Ne vuoi uno?». Glielo porge, e lui l’afferra con entrambe le manine, se lo ficca in bocca e comincia a succhiarlo. In breve si impiastriccia tutta la faccia, qualche po’ gli cade, qualche po’ lo raccoglie col dorso della mano, dalla guancia alla bocca. La mamma commenta "musicalmente" i suoi gesti e il gusto che egli prova: «Mhh! Mmhh!... Che buono!». Quando il bambino ha l’impressione d’aver finito, si succhia la lingua, come a riassaporare non solo il gusto del biscotto ma anche il piacere di essere riuscito a procurarsi quel piacere; poi si sporge a cercare altri biscotti, e guarda la mamma come a sollecitarla ad attivarsi di nuovo. Lei, scherzando: «Ne vuoi ancora, eh? Birbante! Ti piacciono proprio! Ma adesso basta»; tira fuori una paperetta di gomma e gliela porge, perché ci giochi. Scena del tutto analoga: un altro bambino vede i biscotti, li desidera, si attiva per prenderli o farseli dare con gesti, vocalizzi ed espressioni mimiche. La mamma non commenta con azioni, suoni o parole le attività, i desideri e le emozioni del piccolo, ma prende la paperetta di gomma e glie la porge perché lui ci giochi.

Valorizzare le emozioni.
Due scene di vita simili, ma due esperienze (soggettive) totalmente differenti: il primo bambino sente riconosciuti e valorizzati dalla mamma sia il suo desiderio di mangiare i biscotti, sia le sue emozioni di piacere e di soddisfazione, mentre il secondo li sente misconosciuti e, soprattutto, svalutati: cose da cui prescindere. Il primo non solo imparerà che è un valore quel suo specifico desiderio (mangiare i biscotti), ma - cosa assai più importante - sentirà di essere un valore lui stesso in quanto soggetto che desidera. E così è per le emozioni: sentirà valorizzate non solo quelle specifiche emozioni (soggettive) di piacere soddisfazione e contentezza, ma anche se stesso nel suo vivere emozioni in generale. E se il clima prevalente sarà quello, imparerà ad amare se stesso come soggetto di desideri e di emozioni e a stimare come rilevante e degno di attenzione il proprio soggettivo modo di vivere e comunicare le esperienze emotive. Imparerà che le emozioni, belle o brutte che siano, sono riconoscibili (la mamma le riconosce), comunicabili, eventualmente condivisibili, tollerabili, vivibili, e che si può fare qualcosa per gestirle, sia nel contenerle sia nel modularle sia nel realizzare azioni in sintonia con esse o nel suscitare negli altri risposte adeguate. Diverrà abbastanza sicuro di poter contare sulle proprie emozioni per orientarsi nella conoscenza e nelle scelte per ciò che riguarda i suoi rapporti con se stesso, con gli altri e col mondo. Imparerà a riconoscere lo scambio emotivo come la sostanza vitale delle relazioni umane. Riconoscerà che il significato delle esperienze della vita risiede, appunto, nelle emozioni. Avrà attenzione e rispetto per la propria e l’altrui vita emotiva e, nel gestire i rapporti, sarà orientato a cercare il proprio e l’altrui benessere emotivo. Alla fine avrà sviluppato la propria intelligenza emotiva (che riguarda il sentire: emozioni, desideri, sentimenti, rapporti interpersonali) e gli verrà spontaneo utilizzarla momento per momento. Per il secondo bambino tutto sarà più difficile. Sarà costretto a sentire come trascurabili, disturbanti o colpevoli le proprie emozioni e i propri desideri, tutt’al più rilevanti solo i desideri e le emozioni degli altri, col rischio di non saper utilizzare le proprie emozioni nelle scelte di vita, di non saper perseguire la propria e l’altrui contentezza, e, per esempio, di non saper proporsi come partner amoroso.

Le emozioni del bambino vanno "riconosciute".
Un episodio di dissonanza emotiva può non lasciar segni. Ma se il modello relazionale prevalente è quello e viene riattivato in modo ripetitivo e rigido, le conseguenze sullo sviluppo dell’intelligenza emotiva saranno pesanti. Bisogna che il bambino si senta sempre riconosciuto nelle proprie soggettive esperienze emotive. "Riconosciuto" non vuol dire che può far ciò che vuole, né si tratta di evitargli le frustrazioni. Se arrabbiato, si può chiedergli di "farsela passare", ma la sua rabbia deve essere riconosciuta per quello che è. Vi sono adulti che, avendo sviluppato adeguatamente la propria intelligenza emotiva, hanno la capacità di utilizzare le proprie emozioni per orientarsi nelle relazioni, nelle scelte e nella vita in generale; altri non hanno questa capacità: sentono e vivono le emozioni come ostacolo, minaccia o fonte di distorsioni, perché non hanno sviluppato o hanno addirittura coartato le loro potenzialità di intelligenza emotiva. È fin dalla primissima infanzia che si pongono le basi per lo sviluppo o per l’inibizione di queste capacità: molto dipende dall’atteggiamento di fondo verso le emozioni e la vita emotiva maturato da chi si occupa del neonato prima e del bambino poi.

TRATTO DA: www.uppa.it/uppa/article/368

Edited by Sherry76 - 4/10/2010, 11:52
 
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